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不是,我是在酒吧听到的。。
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Tu vivi nell'aria,是这个不,我也找好久了
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LE RECRUTEMENT SACERDOTAL DANS LE DIOCESE DE SAINT-FLOUR AU XIXe SIECLE on JSTOR
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LE RECRUTEMENT SACER...
Journal Article
Christian ESTEVE
Histoire, ?conomie et Société
Vol. 13, No. 4 (4e trimestre 1994), pp. 609-648
Published by:
Stable URL: http://www.jstor.org/stable/
Page Count: 40
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Le Cantal <>. Tel est le cliché répandu de l'une de ces <>. L'isolement, l'archa?sme des modes de vie expliquent sans doute l'émergence et la pérennité de cette image. Assurément, le grand nombre de ses prêtres contribua à sa diffusion. Reste qu'elle masque l'irrégularité de leur recrutement durant le XIXe siècle, les nombreuses disparités locales de celui-ci et la diversité des chemins qui menaient à la porte du séminaire de Saint-Flour. Cantal <>. Such is the widespread cliché of one of these highlands of the Massif Central. The emergence and perpetuation of this image can no doubt be explained by the isolation and the old-fashioned way of life. This image has most certainly been reinforced by the large number of priests from the area. Yet, such an image not only conceals the fact that all throughout the 19th century, their recruitment was irregular and very disparate depending on the area, but also, that the paths leading to the door of the seminary in Saint-Flour were various.
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24.41Università degli Studi G. d&#x27;Annunzio Chieti e Pescara6.45Università degli Studi G. d&#x27;Annunzio Chieti e Pescara+ 115.99Università degli Studi G. d&#x27;Annunzio Chieti e Pescara29.46Università degli Studi G. d&#x27;Annunzio Chieti e PescaraShow more authorsAbstractGiftedness and talent are one of the most important resources of our society, because they are closely linked to scientific progress and economic growth. These concepts have always been considered to be related to intelligence in psychometric studies. Since the 80s a number of scholars have opposed the concept of “psychometric intelligence” to that of “emotional intelligence”, on the grounds that
both success and social adaptation require the ability to know how to manage emotions. The concept of emotional intelligence achieved great popularity and has some credit for having placed emphasis on a variety of factors that can influe on the other hand, it has non-negligible limitations: lack of agreement between scholars on the definition of the concept, weakness of the
measuring instruments, little empirical support and, above all, the absence of a clear distinction between the concepts of “emotional intelligence”, “personality” and “emotions”. The conclusion is that psychometric intelligence is an important factor in academic and life success and has a solid empirical foundation, whereas the construct of “emotional intelligence” does not currently provide a satisfactory
alternative solution.Discover the world&#x27;s research14+ million members100+ million publications700k+ research projects
FORUMLA PLUSDOTAZIONEGIFTEDNESS293
INTRODUZIONEINTRODUCTIONMaria Assunta Zanetti, Roberta Renati e Angela BerettaDipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del ComportamentoUniversità di Pavia- Piazza Botta, 6-11- 27100 Paviae-mail: zanetti@unipv. telefono: +39 382 986275Il numero 2 del 2013 della rivista è dedicato interamente al tema della plusdotazione nei suoi rapporti teorici con l’intelligenza e con i bisogni formativi dei bambini e dei ragazzi.Saggino, Balsamo, Di Sano, Picconi e Romanelli nel loro contributo passano in rassegna le principali teorie sul talento e la plusdotazione e si soffermano in particolare sul modello WISC di Sternberg (2005), quello che accanto all’intelligenza, alla creatività, alla capacità di sintesi, unisce anche la saggezza intesa come finalizzazione al bene comune dei propri interessi personali. Collegano queste teorie, comunque piuttosto eteroge-nee, al costrutto di intelligenza emotiva che si è affermato negli ultimi anni a partire dalla sollecitazione di Gardner e che è stato poi ripreso da Salovey e Mayer, i quali hanno avuto il merito di considerare cruciale il ruolo svolto dalle emozioni nella determinazione di un comportamento in-telligente.Vari aspetti di quest’ultimo sono stati proposti da Goleman e poi di nuovo ripresi da Salovey e Mayer che sono giunti ad elaborare un modello che attribuisce molta enfasi alle componenti cognitive del costrutto di in-telligenza emotiva. Il dibattito scientifico su questo tema è assai vivace e diverse voci sono intervenute ora a sostegno di una visione che considera variabili non necessariamente riconducibili all’intelligenza ora a sostegno di una posizione che considera costitutiva dell’IE solo variabili di tipo co-gnitivo ed abilità mentali.Diverse critiche sono state rivolte al costrutto di IE a causa dell’ambi-guità della sua definizione operazionale, dell’ampiezza e dell’incoerenza dei domini di contenuto, delle debolezze metodologiche delle tipologie degli strumenti di misura, della difficile individuazione delle aree cerebra-295M.A. Zanetti et al. / Ricerche di Psicologia 2 (9
li implicate nell’intelligenza emotiva. Se tale costrutto vorrà imporsi come scientificamente rilevante dovrà affrontare e superare diversi problemi, tra i quali, di particolare importanza, quello di dimostrare che l’IE è diversa dalla personalità e se e quanto essa sia in grado di predire il successo nel mondo reale.Diverso il caso dell’intelligenza psicometrica. Anche qui vi sono visio-ni teoriche contrapposte (concezione bi fattoriale o multifattoriale, intelli-genza fluida e cristallizzata, analitica, creativa, pratica, ecc.). Anche in questo caso sono state molte le critiche rivolte all’intelligenza psicometri-ca, relative ora alla soggettività delle abilità su cui si è compiuta l’analisi ora alla tendenza a misurare attraverso l’applicazione dell’analisi fattoria-le, ora al condizionamento culturale di cui risentono gli strumenti di valu-tazione ora al controverso ruolo che fattori come motivazione o attitudine possono giocare. Nonostante le critiche, tuttavia, il costrutto dell’intelli-genza psicometrica appare uno dei più solidi della psicologia.L’articolo prosegue illustrando un test di intelligenza fluida creato da Romanelli e Saggino (in preparazione) nel 2009, il Fluid Intelligence Test (FIT), di buona validità di costrutto e buona coerenza interna, che si offre come particolarmente interessante ed innovativo rispetto ad altri strumen-ti.L’articolo conclude con raccomandazioni metodologiche a differenzia-re tra loro i soggetti plusdotati (“moderatamente” o “estremamente”) e a verificare se alla plusdotazione si accompagni anche una buona competen-za emotivo-sociale o meno. La finalità è naturalmente quella di offrire a ciascuno opportunità di apprendimento che valorizzino il proprio poten-ziale e proteggano da rischi di esclusione sociale.Come Mariateresa Cairo sottolinea nel suo articolo, accompagnare i bambini ed i ragazzi plusdotati nel loro percorso di crescita comporta af-frontare preliminarmente una serie di importanti questioni:o aderire ad una definizione di plusdotazione quando a livello nazionale ed internazionale il dibattito è ancora aperto e chiama in gioco catego-rie molto diverse di “giftedness”: da bambini molti intelligenti con vari interessi ed attitudini a bambini con un talento particolare ed un’abilitào capire se il bambino o il ragazzo che deve essere accompagnato ha un equilibrio consolidato oppure presenta livelli di sviluppo disomogenei in ambito fisico, mentale, sociao distinguere tra bambini “precoci”, le cui caratteristiche tendono “a rientrare” con l’avanzare dell’età o bambini realmente plusdotati le cui potenzialità vanno sviluppate per tutto il cammino di crescita;296
o accettare la sfida di educare alunni con una straordinaria tenacia, una memoria
eccezionale, una
motivazione perseverante
buona dose di
alunni che amano la complessità e si divertono a giocare con il pensiero astratto e che perciò spesso in classe si annoia-no e diventano iperattivi, cho far fronte ad una curiosità che porta questi ragazzi ad evitare attività ripetitive e strutturate preferendo sperimentare, mettere alla prova se stessi, trovare soluzioni originali e mostrare disponibilità ad assumere rischi e a tollerare l’ambiguità.Chi tratta della plusdotazione non può esimersi dal confronto con le ri-flessioni indotte dalle ricerche più recenti sull’intelligenza, il suo funzio-namento e le conseguenti ricadute in ambito educativo sia in famiglia che a scuola, ma nemmeno dal rapporto molto stretto che la “giftedness” ha con la creatività. Proprio a questo proposito vengono offerti spunti per “insegnare” ad essere creativi, per incoraggiare l’immaginazione ed inte-grarla nella propria esperienza di vita.Di particolare interesse l’attenzione rivolta alla compresenza di disabi-lità, difficoltà e dotazione. Per chi ne è portatore diventa molto difficile trovare una modalità di espressione delle proprie abilità, anche in ragione di una ricerca scientifica più preoccupata di individuare deficit e cause di compromissione anziché potenzialità di sviluppo.L’articolo continua passando in rassegna le strategie educative più fre-quentemente consigliate per gli alunni dotati: l’accelerazione, l’arricchi-mento, l’approfondimento, l’autoapprendimento, l’accrescimento di diffi-coltà e complessità del compito. Alcune di esse vengono già praticate, al-tre molto meno. In ogni caso, al termine di un ciclo scolastico appare di ri-levanza strategica saper orientare scolasticamente o professionalmente i bambini ed i ragazzi avendo sempre come scopo la formazione globale della loro personalità.L’articolo conclude con la raccomandazione a non sprecare il contribu-to che, a livello culturale, politico, filosofico, scientifico e religioso una persona ad alto potenziale può apportare alla società e richiama al dovere di offrire a questi bambini un’educazione che non sia da autodidatti ma sollecitata grazie a sfide formative istituzionalmente sostenute.Maureen Neihart nel suo articolo offre una vasta rassegna di studi a supporto dell’opportunità per i bambini plusdotati di accelerare il percorso accademico. Molti genitori ed esperti contrastano l’accelerazione perché sono convinti che chi accelera non sarà ben integrato nel nuovo gruppo dei pari, proverà alti livelli di stress e di burn out, oltre che problemi di adattamento. In realtà decine di ricerche empiriche sostengono in modo 297
schiacciante come l’accelerazione costituisca un efficace strumento per orientare i bisogni accademici, sociali ed emotivi di bambini ad alto po-tenziale a condizione che un attento esame venga rivolto sia alla maturità del bambino che all’ambiente di sviluppo e di apprendimento. Se l’accele-razione viene imposta senza queste cautele si può rivelare un azzardo.L’accelerazione del percorso scolastico è un intervento che offre il mi-gliore incontro tra il livello di sviluppo delle abilità del bambino ed il cur-riculum. Poiché i bambini apprendono meglio quando ricevono insegna-menti appropriati alle loro abilità, l’accelerazione è spesso una strategia relativamente
ed efficace
ottimizzare
l’apprendimento
di bambini dotati.Per di più l’accelerazione spesso colloca i bambini ad alto potenziale all’interno di un gruppo di pari che è molto più simile a loro nel grado di sviluppo, il che facilita il loro senso di appartenenza oltre che l’accettazio-ne ed il sostegno dei pari.Nonostante esistano oltre dodici tipologie di accelerazione, le tre più comuni e meglio studiate dalla ricerca sono l’accelerazione individuale (un bambino che frequenta la seconda elementare segue le lezioni di mate-matica della quinta), il salto di classe (un bambino passa direttamente dal-la seconda classe alla quarta senza frequentare la terza) e l’ingresso antici-pato all’università. ? in ogni caso fondamentale appurare attraverso valu-tazioni competenti l’appropriatezza di ogni intervento che indaghino lo sviluppo del bambino, i risultati scolastici, le sue attitudini, il rapporto con i pari, le sue personali motivazioni e sentimenti nei confronti dell’accele-razione, le informazioni che possiedono in merito la famiglia e la scuola.L’articolo della Neihart si riferisce ad un contesto diverso da quello ita-liano, che si limita ad offrire la possibilità di saltare o la prima elementare o la prima media. Nondimeno le informazioni che offre possono costituire un importante spunto di riflessione e contribuire a dissolvere pregiudizi e precomprensioni qualora anche da noi l’attenzione ai bisogni dei bambini dotati si affermi come non più dilazionabile.Beretta, Zanetti e Renati con il loro contributo entrano nella scuola ita-liana, in particolare in un Liceo, per verificare l’ipotesi che i soggetti ad alto potenziale si distinguano dai loro pari normodotati perché attuano processi cognitivi tipici degli esperti e acquisiscono competenza più rapi-damente. Poiché tra i processi cognitivi “esperti” vi è la metacognizione, la ricerca ha voluto appurare se i gifted ad alto profitto scolastico mostra-no livelli di consapevolezza metacognitiva superiori a quelli dei gifted a basso rendimento e a quelli degli studenti normodotati sia ad alto che a basso rendimento.298
La consapevolezza metacognitiva, indagata attraverso il Metacognitive
Awareness Inventory
nelle sue due principali componenti, la conoscenza metacognitiva ed i processi metacognitivi di controllo, conferma solo in parte l’ipotesi e vede raggiunti dagli studenti normodotati ad alto rendi-mento scolastico i punteggi più alti nei processi metacognitivi di control-lo. Si può ipotizzare che gli studenti dotati raggiungono certi risultati in modo automatico, senza dover affinare particolari strategie metacognitive.Inoltre, dato che in letteratura si afferma che i soggetti dotati con alto profitto, spesso lodati per la loro abilità e per la facilità con cui ottengono valutazioni alte, sono più vulnerabili alla frustrazione e pertanto più incli-ni a strategie di evitamento (quelle che spingono a non affrontare un com-pito per timore di apparire poco capace rispetto ai compagni), lo studio mette a confronto gli obiettivi di apprendimento che essi perseguono e li confronta con quelli scelti da altre tre categorie di studenti: quelli dotati a basso rendimento, quelli normodotati ad alto rendimento e quelli normo-dotati a basso rendimento.La ricerca non conferma l’ipotesi che le strategie di evitamento siano prese in considerazione più di quelle di “approccio” (lo studente affronta il compito con lo scopo di dimostrare le proprie capacità). Ancora una vol-ta il gruppo che più degli altri risulta determinato ad affrontare il compito, ad ottenere successo scolastico e così, attraverso questo, visibilità, è quel-lo dei soggetti normodotati ad alto rendimento scolastico.Ne deriva l’importanza che la didattica insegni agli alunni ad interpre-tare, organizzare e strutturare le informazioni ma soprattutto a riflettere su questi processi per divenire sempre più autonomi nell’affrontare nuove si-tuazioni di apprendimento, sviluppi in loro la consapevolezza sia delle operazioni che stanno compiendo sia del perché lo fanno, di quando è più opportuno farlo ancora e in quali condizioni. In questo modo ne trarrebbe-ro beneficioTanto gli alunni con basso rendimento scolastico, quanto quelli, come i gifted ad alto profitto, che non stanno sviluppando appieno il loro poten-ziale metacognitivo.299
LA PLUSDOTAZIONE TRA INTELLIGENZAPSICOMETRICA ED INTELLIGENZA EMOTIVAGIFTEDNESS BETWEEN PSYCHOMETRIC INTELLIGENCE AND EMOTIONAL INTELLIGENCEAristide Saggino*, Michela Balsamo*, Sergio Di Sano**, Laura Picconi*, Roberta Romanelli**Dipartimento di Scienze Psicologiche, Umanistiche e del Territorio, Università di Chieti-Pescara, Via dei Vestini, 31 - 66100 Chieti scalo (CH);** Dipartimento di Neuroscienze ed Imaging, Università di Chieti-P e-mail: a.saggino@unich. telefono: +39 RiassuntoTalento e plusdotazione sono una delle risorse più importanti della nostra società in quanto strettamente legati al progresso scientifico e alla crescita economica. Questi concet-ti sono stati sempre considerati legati all’intelligenza negli studi psicometrici. A partire da-gli anni ’80 diversi studiosi hanno contrapposto al concetto di “intelligenza psicometrica”, quello di “intelligenza emotiva”, in base alla considerazione che il successo e l’adattamen-to sociale richiedono la capacità di sapere gestire le emozioni. Il concetto di intelligenza emotiva ha raggiunto una grande popolarità ed ha certo il merito di aver posto l’accento su una molteplicità di fattori che possono influenzare il successo
d’altra parte, pre-senta anche dei limiti non trascurabili: assenza di accordo tra gli studiosi sulla definizione
del concetto, debolezza degli strumenti di misura impiegati, scarso supporto empirico e, soprattutto, assenza di una chiara distinzione tra i concetti di “intelligenza emotiva”, “per-sonalità” ed “emozioni”. La conclusione è che l’intelligenza psicometrica rappresenta un importante fattore di successo, sia in ambito accademico che nella vita, che ha solide basi empiriche, mentre il costrutto di “intelligenza emotiva” non fornisce al momento una solu-zione alternativa soddisfacente.Parole chiave: plusdotazione, intelligenza psicometrica, intelligenza emotiva, test FIT.AbstractGiftedness and talent are one of the most important resources of our society, because they are closely linked to scientific progress and economic growth. These 301A. Saggino et al. / Ricerche di Psicologia 2 (3
concepts have always been considered to be related to intelligence in psychomet-ric studies. Since the 80s a number of scholars have opposed the concept of “psy-chometric intelligence” to that of “emotional intelligence”, on the grounds that both success and social adaptation require the ability to know how to manage emotions. The concept of emotional intelligence achieved great popularity and has some credit for having placed emphasis on a variety of factors that can influ-e on the other hand, it has non-negligible limitations: lack of agreement between scholars on the definition of the concept, weakness of the measuring instruments, little empirical support and, above all, the absence of a clear distinction between the concepts of “emotional intelligence”, “personality” and “emotions”. The conclusion is that psychometric intelligence is an important factor in academic and life success and has a solid empirical foundation, whereas the construct of “emotional intelligence” does not currently provide a satisfactory alternative solution.Keywords: giftedness, psychometric intelligence, emotional intelligence, test FIT.IntroduzioneOggetto principale di questo articolo è ciò che gli inglesi chiamano gif-tedness e che noi tradurremo con “plusdotazione”, ma che potremmo tra-durre egualmente con “talento”. In questo articolo utilizzeremo i due ter-mini come interscambiabili. La plusdotazione intellettuale è una delle doti più preziose che contribuiscono allo sviluppo della società. Sono le perso-ne dotate di talento che si contraddistinguono nei differenti campi, soprat-tutto a livello scientifico. In un periodo di forte crisi economica quale quello che la nostra società sta attraversando a livello globale il talento, soprattutto dei più giovani, assume un’importanza sempre maggiore. Le persone dotate di talento producono più brevetti, ad esempio, ed i brevetti contribuiscono sicuramente ad aumentare il Prodotto Interno Lordo (PIL) di un paese. Questa sola considerazione basta a far capire l’importanza di questo tema.Il talento è stato storicamente, in ambito psicologico, sempre connesso all’ intelligenza psicometrica ossia al costrutto “intelligenza” come è stato inteso da Charles Sperman (1904), il primo psicologo ad essersene occu-pato da un punto di vista scientifico. Infatti, nella nostra società, ma anche a lungo nelle concezioni psicologiche del talento, talento ed elevata intel-ligenza sono sempre stati utilizzati in modo interscambiabile. Più recente-mente, nel dibattito sul talento e l’intelligenza si è inserita anche l’intelli-302
genza emotiva creando tra l’altro una certa confusione per i motivi che an-dremo illustrando nel prosieguo di questo nostro articolo.Il presente lavoro vuole soprattutto affrontare il tema del talento in re-lazione alle due intelligenze (psicometrica ed emotiva) con l’obiettivo pre-cipuo di valutare quale di questi due costrutti possa essere più adeguato allo studio ed all’individuazione della plusdotazione. Più esattamente, ci proponiamo l’obiettivo di dimostrare che tra i due costrutti presi in esame, intelligenza psicometrica ed intelligenza emotiva, il secondo è sicuramen-te meno robusto da un punto di vista scientifico, meno condiviso all’inter-no della comunità scientifica degli psicologi e, quindi, meno utile all’indi-viduazione ed allo sviluppo delle persone dotate di talento.Teorie principali del talentoSternberg, Jarvin e Grigorenko (2011) asseriscono che il talento è co-stituito dai seguenti cinque aspetti (teoria pentagonale del talento):1) criterio dell’eccellenza: secondo questo criterio l’individuo dotato di talento è superiore ai suoi pari in uno o più2) criterio della rarità: l’attributo che l’individuo possiede deve essere raro in r3) criterio della produttività: proprio il fatto di essere dotato di talento fa sì che l’individuo che ne è dotato sia più produttivo degli altri (si suppo-ne, ovviamente, in relazione alle abilità nelle quali il suo talento si mani-festa);4) criterio della dimostrabilità: la plusdotazione (e quindi il talento) deve essere dimostrabile attraverso uno o più test psicologici standardizzati, attendibili e validi. Quest’ultimo aspetto si collega direttamente all’o-biettivo di questo articolo dato che i test potrebbero essere per l’appunto misure di intelligenza psicometrica oppure di 5) criterio del valore: la dimensione nella quale la persona è dotata di ta-lento deve essere valutata positivamente dalla società cui la persona ap-partiene. Dubitiamo, ad esempio, fortemente che una persona molto abi-le, quindi nettamente superiore alla media, in abilità criminali possa es-sere considerata una persona dotata di talento in una società civile.Secondo la teoria pentagonale non vi è uno strumento in assoluto mi-gliore per identificare le persone dotate di talento, anche se pur in modo non sempre esplicito e definito Sternberg et al. (2011) ritengono la misura-zione dell’intelligenza psicometrica un aspetto essenziale nell’identifica-zione del talento.303
Molte sono le teorie che sono state sviluppate all’interno della psicolo-gia sul
in questo contesto ne citiamo solo alcune per la loro im-portanza (Sternberg et al., 2011):1) la teoria del quoziente intellettivo (QI). Secondo questa teoria la perso-na dotata di talento è semplicemente quella che ha un QI elevato misu-rato dai test psicometrici di intelligenza.2) QI ed altre qualità. In questo modello si dà importanza al QI, ma si ag-giunge che devono essere presenti altre qualità. Molti sono gli autori che si sono occupati di questo. Una rassegna aggiornata può essere re-perita in Sternberg et al. (2011). Ad esempio, Renzulli (, cit. in Sternberg et al., 2011) ritiene che vi siano due tipi di talento: scola-stico e produttivo-creativo. Il primo è certamente più connesso al QI che come sappiamo è il maggior predittore di successo scolastico. Il secondo è senza dubbio molto meno connesso al QI e si riferisce ad esempio ai grandi musicisti. Gardner (1983) ritiene che vi siano diversi tipi di intelligenza e quindi non accetta qualsiasi definizione di intelli-genza che sia limitata alla sola intelligenza psicometrica. Anche Gagné (2000, 2005) ha proposto un modello complesso, che va quindi anche esso chiaramente aldilà del modello psicometrico, che ha definito “Dif-ferentiated Model of Giftedness and Talent”. Il talento secondo questo modello è costituito da sei componenti divise in due gruppi di tre.Un altro modello messo a punto da Sternberg (e.g., 2005) è il cosiddet-to modello WISC (W =
S = S C = creati-vità). Secondo questo modello, il talento è caratterizzato dalla presenza di questi quattro aspetti, sia pure con modalità ovviamente diverse da perso-na a persona, ed implica sia abilità che attitudini.La
creatività
è per Sternberg l’abilità a generare idee o prodotti che siano: a)
b) di elevata qualità e c) appropriati. Gli individui creativi in genere tendono a definire ed a risolvere un problema in modi diversi dalla maggior parte delle persone. In questo consiste la loro inno-vatività.L’intelligenza è intesa da Sternberg come “successful intelligence” che è costituita sia dall’intelligenza accademica, che corrisponde alla classica intelligenza psicometrica di Spearman e Carroll, che da quella che Stern-berg definisce “intelligenza pratica”, ossia la capacità di affrontare e risol-vere i problemi nella vita di tutti i giorni.La saggezza è per Sternberg l’abilità ad utilizzare la successful intelli-gence, la creatività e la conoscenza, moderate da valori etici positivi, per i seguenti obiettivi: a) raggiungere un bene co b) bilanciare gli inte-ressi propri (intrapersonali), degli altri (interpersonali), ed organizzativi, 304
istituzionali ed anche spirituali (extrapersonali), ad esempio per adattarsi all’ambiente nel breve e lungo periodo. L’aspetto relativo al bene comune è considerato particolarmente importante nella definizione della saggezza.La parola
“sintesi”
in questo modello identifica il fatto che tutti gli aspetti (creatività, intelligenza e saggezza) debbono stare insieme in modo adeguato, ossia essere presenti ed utilizzati in modo sinergico. Se ciò non avviene non possiamo definire dotata di talento la persona che li possiede.Come si può desumere da questo sintetico quadro, non esiste a livello scientifico una teoria condivisa della plusdotazione.Il costrutto di intelligenza emotivaNegli
progressivamente
grande importanza quella che viene definita “intelligenza emotiva” (IE), ossia la capacità di comprendere e di utilizzare al meglio i vissuti interiori, propri e degli altri, che si traduce in una maggiore fiducia in sé stessi, adattabilità ed empatia: tutti fattori che contribuiscono al successo sociale.? con Gardner (1983, 1993) che le emozioni assumono per la prima volta lo status di vere e proprie espressioni dell’“intelligenza”. Il ruolo delle emozioni è una dimensione dell’intelligenza personale che Gardner si limita ad indicare senza esplorarla a fondo: è chiaro come egli abbia studiato il ruolo del “sentimento” nelle intelligenze multiple, concentran-dosi più che “su di” esso, sulla cognizione “relativa” ad esso, lasciando inesplorato il mare di emozioni che rende la vita interiore e le relazioni umane così complesse e sconcertanti.Nella teoria di Gardner si possono rintracciare, dunque, le premesse teoriche per la definizione di IE successivamente proposta da Salovey e Mayer (1990), i quali raccolgono l’esigenza di considerare quel ruolo cru-ciale svolto dalle emozioni nel continuo rapporto tra individualità e conte-sto socio-relazionale di riferimento, ritenendo l’elaborazione e l’uso delle informazioni emotivamente pregnanti come parte integrante del comporta-mento intelligente (De Caro e D’Amico, 2008).Salovey e Mayer (1990) (anche Salovey, Hsee e Mayer, 1993), hanno, dunque, contribuito significativamente alla ricerca in quest’aerea fornendo un’ampia cornice teorica nella quale l’IE consiste di 3 domini primari: l’e-satto riconoscimento delle emozioni in sé stessi e negli altri, la regolazio-ne delle emozioni proprie e altrui, l’uso strategico delle emozioni per sco-pi connessi alla motivazione ed alla soluzione dei problemi.Goleman (1995) ha successivamente proposto sette aspetti del compor-tamento emotivamente intelligente: autocoscienza, automotivazione, per-305
sistenza di fronte alle avversità, controllo degli impulsi, regolazione del-l’umore, empatia ed otti ha messo l’accento sul fatto che ci possa-no essere persone di grande intelligenza logica, ma incapaci di capire e gestire le emozioni proprie e altrui, e viceversa persone con il profilo op-posto, emotivamente sensibili e reattive, ma in difficoltà con il pensiero astratto (Balsamo, Romanelli, Picconi e Saggino, 2011): enfatizza, dun-que, quelle che sono le differenze individuali negli aspetti psicologici e funzionali delle emozioni (Taylor, Parker e Bagby, 1999).Successivamente Mayer e Salovey (1997) hanno rivisto il loro modello di IE, attribuendo maggiore enfasi alle componenti cognitive del costrutto e concettualizzando l’IE in termini di potenziale per la crescita intellettiva ed emotiva. Tale modello rivisto comprende quattro componenti di IE: percezione, valutazione ed espressione delle
facilitazione emo-tiva del
comprensione, analisi ed impiego della coscienza emoti- regolazione riflessiva delle emozioni per favorire la crescita emotiva ed intellettuale (Di Fabio, Giannini, Palazzeschi, 2008).Tuttavia, la definizione più controversa di IE risulta essere quella pro-posta da Bar-On (1997a, 1997b), in quanto meno chiare sono le accezioni dei termini utilizzati dall’autore. L’IE viene descritta infatti come un insie-me di capacità non cognitive, competenze ed abilità apprese che influen-zano la qualità degli individui nel far fronte efficacemente alle richieste ed alle
pressioni ambientali (Bar-On,
D’Amico, 2008).Un modo efficace per organizzare i vari modelli esistenti di IE è quello proposto da Mayer, Salovey e Caruso (2000) che si basa sulla distinzione tra mixed models ed ability models. Alla prima categoria apparterrebbero tutti i modelli che considerano l’IE come un misto di tendenze comporta-mentali, variabili motivazionali ed affettive considerate relativamente sta-bili e non necessariamente riconducibili all’intelligenza, come nel caso di Bar-On (1997a, 1997b) o di Goleman (1995); alla seconda categoria, inve-ce, apparterrebbe il quadro di riferimento teorico proposto da Mayer e Sa-lovey (1997), in cui sono ritenute costitutive dell’IE soltanto variabili di tipo cognitivo ed abilità mentali (Mayer, Caruso e Salovey, 1999; De Caro e D’Amico, 2008).Petrides e Furnham (2000, 2001, 2003) hanno proposto uno schema leggermente diverso per inquadrare i modelli di IE esistenti, distinguendo tra trait EI ed ability EI. Il primo tipo considera anche tratti di personalità come rilevanti per le differenze individuali nei processi emotivi, come nel caso di Bar-On (1997a, 1997b), mentre il secondo corrisponde a modelli 306
come quello di Mayer e Salovey (1997) che considerano solo le abilità co-gnitive cruciali per l’IE.Vi sono stati sviluppi interessanti anche nel vasto settore della ricerca sulle emozioni, uno dei quali proviene dalla scoperta dei meccanismi cere-brali delle emozioni, descritti da LeDoux (1996). Risultati di studi neuro-biologici mostrano come alcuni aspetti del costrutto di IE siano correlati con l’attività funzionale di quelle sezioni del cervello coinvolte nell’elabo-razione cognitiva delle emozioni (Taylor et al., 1999).La qualità della regolazione emotiva da parte del funzionamento cogni-tivo sembra essere determinata sia dalla qualità delle rappresentazioni del sistema cognitivo che dalla forza delle vie neuronali che vanno dalla cor-teccia prefrontale verso l’amigdala (LeDoux, 1989). LeDoux (1989) ipo-tizza che i sentimenti vengano vissuti quando le rappresentazioni delle va-lutazioni degli stimoli effettuate dall’amigdala e dalla neocorteccia, insie-me alle rappresentazioni degli stimoli scatenanti, sono immesse nella me-moria di lavoro (working memory) e si integrano con le rappresentazioni delle esperienze passate e le rappresentazioni del sé (Taylor, Parker e Bag-by, 1999).L’evidenza che i correlati neuronali della consapevolezza emotiva in-cludano l’attività della corteccia cingolata anteriore è stata fornita anche da Lane, Reiman, Axelrod, Lang-Sheng, Holmes e Schwartz (1998) in uno studio di imaging sul funzionamento del cervello.L’area dorsolaterale e ventromediale della corteccia prefrontale sareb-bero, dunque, implicate nell’IE (Craig, Tran, Hermens, Williams, Kemp, Morris e Gordon, 2009; Krueger, Barbey, McCabe, Strenziok, Zamboni, Solomon, Raymont e Grafman, 2009; Tranel, Manzel e Anderson, 2008).Critiche al costrutto di intelligenza emotivaLe critiche al costrutto di intelligenza emotiva risiedono in parte nelle ragioni stesse del suo successo. Il fatto che un simile costrutto sia: a) in-tuitivo e facilmente comprensibile, b) includa nel suo nome due aree im-portanti nella vita di ciascuna persona, ossia intelligenza ed emozioni, c) sia presumibilmente predittivo di importanti aspetti della vita quotidiana, per es. successo nella vita e nel lavoro (Huang, Law e Wong, 2006), pur spiegandone l’appeal mediatico, ne rivela chiaramente la debolezza scien-tifica. Molti costrutti pseudoscientifici hanno avuto origini ed evoluzioni simili, se pensiamo ad esempio agli studi originari e agli sviluppi applica-tivi della programmazione neurolinguistica (PNL).Critiche più mirate sono dirette innanzitutto all’ambiguità della defini-307
zione operazionale del costrutto, nonché all’ambito in cui ne è stato inseri-to lo studio. L’intelligenza è per definizione studiata nell’ambito delle abi-lità cognitive e le emozioni nell’ambito della personalità. Lo studio del-l’intelligenza emotiva è stato inserito arbitrariamente nel campo dell’intel-ligenza, con la proposta di un confronto competitivo con il concetto di in-telligenza psicometrica (Goleman, 1995), pur essendo affine a concetti ri-guardanti il dominio della personalità, in base alle molteplici definizioni che
precedente).
ultime (Mayer et al., 2000; Petrides e Furnham, 2000, 2001; Mayer, Roberts e Barsade, 2008) non sono riferite a indicatori chiari e a regole di corrispon-denza ben definite tra costrutto ed indicatori. I domini di contenuto appa-iono troppo ampi, e malgrado ciò, non coerenti tra loro. Addirittura Stern-berg (1999) propone di inserire nel costrutto-contenitore “quasi tutto ciò che conta aldilà del concetto convenzionale di QI”, definizione che sen-z’altro impedisce di circoscriverne i necessari confini (Daus, 2006).Affinché un costrutto sia scientificamente ammissibile, esso va posto in una rete nomologica di altri costrutti validati scientificamente (Cronba-ch e Meehl, 1955). Ad oggi, non appare chiara la relazione dell’intelligen-za emotiva come abilità con l’intelligenza psicometrica, le emozioni ed il coping
adattivo (Matthews, Zeidner e Roberts, 2002). Restano oscure, inoltre, le relazioni con la leadership e la vita lavorativa in generale (Anto-nakis, 2003; Antonakis, Sehriesheim, Donovan, Gopalakrishna-Pillai, Pel-legrini e Rossomme, 2004; Locke, 2005).Ulteriori
importanti
riguardano
dell’intelligenza emotiva. Le due tipologie di strumenti (self-report e test di abilità) svilup-pate per la sua valutazione presentano in sé debolezze metodologiche, ol-tre a basse correlazioni tra loro (Ciarrochi, Chan e Caputi, 2000; Roberts, Zeidner e Matthews, 2001; Brackett e Mayer, 2003; Mayer, Salovey e Ca-ruso, 2002).Per ciò che riguarda gli strumenti self-report, essi presentano un’atten-dibilità scarsa ed una validità di costrutto solo moderata, apparendo facil-mente falsificabili (Barrett, Miguel, Tan e Hurd, 2001). Per quel che con-cerne i test di intelligenza emotiva considerata quale abilità, rimane aperta la domanda su come identificare una risposta corretta individuando validi criteri di scoring (Roberts et al., 2001). Le opzioni disponibili, ossia il me-todo del consenso generale (identificare come risposta corretta quella con-siderata tale dalla maggior parte delle persone nel campione di riferimento utilizzato nella ricerca) e l’approccio del consenso degli esperti (invitare professionisti esperti del campo a giudicare quali siano le risposte esatte e ad utilizzare la media dei loro giudizi per indicare le possibili risposte ad 308
un item) sono entrambe soggette a
nel giudizio, dovuto a credenze culturali non veritiere (Roberts et al., 2001). In entrambi i casi, esse non predicono il successo nella vita, in particolare nell’ambito accademico (Barchard, 2003), a differenza degli strumenti di misura dell’intelligenza
appaiono inoltre privi di una base scientifica e di una solida validazione (Matthews et al., 2002); infine, non sono culture free (Huang et al., 2006).La ricerca sulle basi neurali dell’intelligenza emotiva, sinora effettuata con il MSCEIT (Mayer, Salovey, Caruso e Sitarenios, 2001), rivela come non siano ben chiare le aree cerebrali implicate. Avviata sulla scia dei sug-gestivi risultati che
mostravano come le strutture cerebrali supportanti l’intelligenza emotiva e sociale e quella cognitiva fossero diverse (Ba-r-On, Tranel, Denburg e Bechara, 2003; Tranel et al., 2008; Bar-On et al., 2003; Bechara, Tranel e Damasio, 2000), essa ha indicato nell’area dorso-laterale e ventromediale della corteccia prefrontale le potenziali zone ove sarebbe localizzata l’intelligenza emotiva (Craig et al., 2009; Krueger et al., 2009; Tranel et al., 2008). Tuttavia, i risultati sono ancora molto con-troversi (Grewal e Davidson, 2008; Lopes, Brackett, Nezlek, Schütz, Sel-lin e Salovey, 2004) e da più parti si suggerisce come una delle direzioni future della ricerca sull’intelligenza emotiva debba essere proprio l’analisi delle sue basi neurali e genetiche, in modo da consentire uno studio più accurato del costrutto (Huang et al., 2006).Secondo Matthews et al. (2002), diversi problemi devono essere supe-rati affinché il costrutto di intelligenza emotiva esca dal mito e diventi realmente scienza. In particolare, occorrerà dimostrare che l’intelligenza emotiva è diversa dalla personalità e se e quanto sia importante per il suc-cesso nel mondo reale, per esempio predicendo il successo in ambito sco-lastico.Il costrutto di intelligenza psicometricaL’approccio psicometrico all’intelligenza è strettamente legato alla na-scita ed ai progressi della psicometria. Il presupposto teorico vede le diffe-renze individuali nelle prestazioni a test cognitivi come dovute alla pre-senza di più fattori. Tali fattori sarebbero manifestazioni di una più grande abilità latente, definita “intelligenza”.Uno dei precursori dell’approccio psicometrico fu Galton (1883), per il quale l’intelligenza era una caratteristica di natura ereditaria ed innata, le cui manifestazioni principali sono nella capacità di giudizio, di compren-sione e di ragionamento.309
La prima misurazione oggettiva risale al 1908 quando Binet e Simon crearono un test il cui obiettivo era quello di individuare bambini con ri-tardo mentale. Al loro lavoro si deve la prima formulazione del concetto di quoziente intellettivo inteso nei termini di rapporto tra età mentale ed età cronologica. Tale definizione venne perfezionata da Terman nel 1919.A partire dal lavoro di Spearman (1904) sull’analisi fattoriale, si svi-luppò il filone “fattoriale” della misurazione dell’intelligenza. Secondo la sua teoria bifattoriale, l’intelligenza è un’abilità mentale costituita da un fattore generale (g) innato e non influenzato dal grado di istruzione, e da una serie di fattori specifici (s) che possono essere incrementati in funzio-ne dell’istruzione ricevuta. Ciò che sta alla base delle differenze indivi-duali è la diversa quantità di g che un soggetto impiega nell’esecuzione di un task cognitivo.A tale visione bifattoriale si contrappone una concezione multifattoria-le, che trova i suoi fondatori nelle personalità di Thurstone (1938) e Guil-ford (1967). Secondo Thurstone, è possibile individuare sette abilità pri-marie indipendenti, mentre per Guilford esistono 150 abilità indipendenti frutto dell’interazione di cinque tipi di operazioni mentali, cinque tipi di contenuti e sei tipi di prodotti.Cattell ed Horn (ad esempio, 1978) iniziarono a parlare di intelligenza fluida (gf) e cristallizzata (gc), come due abilità costitutive dell’intelligen-za generale. La gf è una capacità di origine biologica implicata nei proces-si di ragionamento e memoria. La gc è un’abilità frutto della conoscenza e delle capacità acquisite per mezzo dell’istruzione e dell’esperienza.Secondo Sternberg (1985), l’intelligenza presenterebbe tre componenti distinte. L’intelligenza analitica è ciò che permette all’uomo di ragionare e di elaborare le informazioni. L’intelligenza creativa permette di affronta-re nuove situazioni problematiche attraverso una rielaborazione delle pas-sate esperienze. L’intelligenza pratica, invece, è ciò che permette un adat-tamento alle richieste ambientali. In realtà solo la prima di queste tre intel-ligenze è quella che viene definita “intelligenza psicometrica”.I nuovi sviluppi degli studi sull’intelligenza psicometrica si sono rivolti verso un modello gerarchico. Può essere considerato una rivisitazione del modello fattoriale che però parte dal concetto di generalizzabilità delle abilità. La principale esemplificazione è la teoria a tre strati di Carroll (1993), per cui lo strato di un fattore è una misura assoluta del grado di generalizzabilità di quel fattore rispetto ad uno specifico dominio. Nel pri-mo strato si collocano le abilità più specifiche che solitamente vengono misurate dai test psicologici. Un esempio è rappresentato dalle abilità di Induzione e Visualizzazione. Nel secondo strato si trovano delle abilità un 310
po’ più generali su cui saturano quelle appartenenti al primo strato (ad esempio, l’intelligenza fluida e cristallizzata). Nel terzo ed ultimo strato si trova l’abilità più generale, l’intelligenza generale (g), su cui tendono a sa-turare tutte quelle del secondo strato.Esiste anche un approccio neurobiologico allo studio dell’intelligenza. Studi di neuroimaging riportano l’attivazione della corteccia prefrontale laterale, della corteccia cingolata anteriore, dell’insula anteriore e della corteccia parietale posteriore in compiti di intelligenza fluida (Duncan, Seitz, Kolodny, Bor, Herzog, Ahmed, Newell e Emslie, 2000; Gray, Cha-bris e Braver, 2003; Jung ed Haier, 2007; Lee, Choi, Gray, Cho, Chae, Lee e Kim, 2006; Perfetti, Saggino, Ferretti, Caulo, Romani e Onofrj, 2009). In una nostra ricerca sull’intelligenza fluida e sulle sue abilità specifiche di induzione, visualizzazione e relazioni spaziali (Ebisch, Perrucci, Mer-curi, Romanelli, Mantini, Romani, Colom, e Saggino, 2012), condotta su un campione di ventidue studentesse universitarie (range età: 20-24) è sta-ta riscontrata l’attivazione della corteccia prefrontale, parietale posteriore, extrastriata posteriore e del giro fusiforme bilaterale nei compiti di indu-zione. Nei compiti di visualizzazione sarebbero invece implicate le aree del lobo parietale inferiore bilateralmente e la corteccia cingolata anteriore dorsale dell’emisfero destro.Una rassegna della letteratura sulla intelligenza psicometrica è conte-nuta in Saggino e Polá?ek (2011).Critiche al costrutto di intelligenza psicometricaAl panorama delle molteplici teorie sull’intelligenza psicometrica sono state rivolte una serie di critiche.Alla teoria bifattoriale di Spearman venne principalmente contestato l’essersi maggiormente focalizzata sullo studio delle abilità specifiche at-traverso l’utilizzo di tecniche di analisi troppo soggettive. Come fa notare Carroll nella sua meta-analisi (1993), i processi considerati da Spearman alla base del fattore g sono frutto del giudizio soggettivo dello studioso e non il risultato di un processo di misurazione oggettiva, anche se poi gli stessi
sostanzialmente
confermato
di Spearman. Anche alla teoria di Guilford venne criticato il non far derivare il suo concetto di operazioni da una teoria o da uno studio empirico ogget-tivo e replicabile.Parallelamente a questo anche i test di intelligenza sono stati criticati in quanto strumenti creati per la misurazione di abilità cognitive derivate solo dall’applicazione dell’analisi fattoriale. Quello che verrebbe a manca-311
re è il considerare queste abilità come il risultato dell’interazione dell’uo-mo con l’ambiente in cui è inserito. In poche parole, i test di intelligenza dovrebbero avere come obiettivo quello di valutare l’apprendimento po-tenziale. Un’altra critica che spesso viene mossa ai test riguarda il proces-so di costruzione. Da una parte alcuni ritengono che molti strumenti sareb-bero influenzati dal livello di cultura e dai modelli teorici del ricercatore che lo costruisce. Dall’altra parte c’è chi critica l’utilizzo di stimoli non ecologici che determinerebbero una valutazione non realmente rappresen-tativa dell’abilità posseduta dal soggetto esaminato.Un, ulteriore disputa si è sviluppata rispetto al concetto di ereditabilità dell’intelligenza così come misurata dai test. Studi sui gemelli hanno evi-denziato come le abilità cognitive siano in un qualche modo ereditabili an-che se non è possibile quantificare esattamente in quale percentuale (Plo-min, DeFries, McClearn, e McGuffin, 2008).Un’ulteriore area di controversie riguarda infine il ruolo che altri fatto-ri (come la motivazione e l’attitudine) possono avere nella determinazione della performance del soggetto esaminato. Ad esempio, Steele (1997) ha sottolineato come fattori attitudinali e stereotipi possono influenzare la performance dei soggetti in alcuni contesti. Egli afferma che la consape-volezza del proprio stereotipo può influenzare negativamente la perfor-mance al task a cui lo stereotipo è legato (ad esempio, la credenza che le persone di colore abbiano risultati inferiori rispetto alle persone bianche nei test di intelligenza può portare le prime ad avere effettivamente risul-tati inferiori).Nonostante le critiche appena citate l’intelligenza psicometrica rimane comunque, da un punto di vista scientifico, un costrutto certamente più so-lido di quello di intelligenza emotiva, nonché uno dei costrutti scientifica-mente più solidi dell’intera psicologia.Nuovi strumenti di misura dell’intelligenza psicometrica: il test FITNel corso degli anni diversi strumenti di misura sono stati creati per misurare in modo oggettivo il costrutto di intelligenza psicometrica. La teoria di riferimento per il processo di costruzione è sempre stata quella classica (CTT). Sulla base dell’individuazione di alcuni punti deboli di questa teoria (ad esempio, nella CTT sia i punteggi osservati che le stati-stiche degli item dipendono dal campione utilizzato) si è sviluppata una nuova teoria: l’Item Response Theory (IRT; Lord, 1980; Rasch, 1960; La-zarsfeld e Henry, 1968). Il principio di base è che la performance di un soggetto ad un test dipende sia dall’abilità del soggetto (ad esempio, dalla 312
sua intelligenza) sia dai parametri degli item (ad esempio, dalla difficoltà degli stessi). Rispettate le proprietà di unidimensionalità (il test misura un solo tratto latente), indipendenza locale (la correlazione tra gli item dipen-de solo dall’abilità misurata), monotonicità (la probabilità di rispondere correttamente ad un item aumenta all’aumentare del livello di abilità) ed invarianza nei processi di stima (la stima dell’abilità del soggetto non di-pende dalle caratteristiche degli item e viceversa), è possibile quindi avere un test che sia totalmente informativo dell’abilità posseduta dal soggetto esaminato.Nel 2009 è stato creato un nuovo test di intelligenza fluida secondo l’approccio della IRT, da utilizzare con persone all’incirca dai 18 anni in poi: il Fluid Intelligence Test (FIT; Romanelli e Saggino, in preparazione). Partendo dalla teoria a tre strati di Carroll (1993), sono stati individuati i fattori specifici del primo strato che saturano in maniera chiara sul fattore di secondo strato di intelligenza fluida. Essi sono Induzione, Ragionamen-to quantitativo, Relazioni spaziali e Visualizzazione. ? stata creata un’i-tem bank di 220 item suddivisi nelle quattro aree. Assegnando casualmen-te gli item, sono state create due forme parallele del test FIT. Il test è stato somministrato ad un campione di 2731 soggetti (maschi = 1276; femmine = 1455) suddivisi in due gruppi, ognuno dei quali ha ricevuto una forma del FIT. L’età media dell’intero campione è di 24,05 anni (DS = 4,15) con un range 18-56. Per ogni gruppo è stato individuato un sottogruppo a cui sono state somministrate anche le Matrici Avanzate di Raven (APM) (FIT-1: n = 270; FIT-2: n = 168).I risultati dimostrano la presenza di una buona validità di costrutto (rFIT-1/APM = .55; rFIT-2/APM = .71; di una buona coerenza interna (KR-21FIT-1
= .98; KR-21FIT-2 = .95). Con il metodo della massima verosimiglianza sono stati stimati i tre parametri degli item (difficoltà, b; discriminazione, a; guessing, c). Si sono ottenuti i seguenti valori per la forma intera: a = 1.49, b = .20, c = .09. Il test FIT, quindi, risulta essere composto da item abbastanza discriminativi e di difficoltà media in cui è bassa l’incidenza del guessing.Gli sviluppi futuri saranno indirizzati alla selezione degli item in base alla loro funzione informativa in modo da creare una forma ridotta, ed in-fine alla creazione di una forma da somministrare in formato Computeri-zed Adaptive Testing (CAT). Le caratteristiche psicometriche del test FIT, ed il fatto che oltre all’ intelligenza fluida è in grado di misurare anche quattro dei fattori che la compongono, lo rendono quindi particolarmente interessante ed innovativo rispetto agli altri strumenti di misura dell’ intel-ligenza psicometrica.313
Discussione e conclusioniTutti siamo consapevoli delle ampie differenze intellettive tra le perso-ne e dell’esigenza di coglierne il significato e le implicazioni. Individuare precocemente e valorizzare le persone dotate di particolari talenti rappre-senta un obiettivo importante non solo in ambito scolastico, ma più in ge-nerale per la nostra società. Lo sviluppo economico della società è in gran parte legato anche alla capacità di valorizzare le risorse umane e quindi i talenti di cui disponiamo.La ricerca sulla plusdotazione ha trovato terreno fertile tra gli studiosi nell’ambito della psicologia e in particolare nella tradizione psicometrica di studio dell’intelligenza. In questo ambito diversi studiosi si sono posti il problema della definizione del talento e l’evoluzione delle spiegazioni proposte è andata di pari passo con l’evoluzione delle teorie e delle moda-lità di misurazione dell’intelligenza.Le teorie sulla plusdotazione possono essere divise in due gruppi: a) quelle che fanno riferimento unicamente al QI misurato con test psicome-trici e b) quelle che considerano altri aspetti. In quest’ultimo gruppo rien-tra la proposta di Sternberg (2005) che parla del talento come costituito da un’intelligenza in grado di portare al successo (successful intelligence), che non comprende solo l’intelligenza accademica (basata sui test psico-metrici), dalla creatività (generare idee nuove) e dalla saggezza (capacità di usare l’intelligenza per il bene comune). Il talento coinvolge un equili-brio e una sintesi tra questi diversi aspetti, anche se la misurazione dell’in-telligenza psicometrica rappresenta comunque a nostro avviso un aspetto essenziale nell’identificazione del talento (Sternberg et al., 2011).A partire dagli anni ’80, con la teoria delle intelligenze multiple di Gardner (1983) è stato proposto un concetto ampliato di intelligenza che prendeva in considerazione, accanto all’intelligenza logico-matematica, quella classicamente valutata in ambito psicometrico, altre forme di intel-ligenza, quali le intelligenze linguistica, musicale, spaziale e corporeo-ci-nestesica. Questo non vuol dire che le diverse “intelligenze” abbiano la stessa importanza per la società e certo essere bravi a calcio non ha la stes-sa importanza che essere bravi a scuola (anche se poi sul piano del guada-gno economico i rapporti di forza potrebbero ritrovarsi rovesciati!). La teoria delle intelligenze multiple di Gardner non ha però ottenuto alcuna validazione sperimentale.A partire dal concetto di intelligenza di Gardner, alcuni studiosi, tra i quali spiccano Salovey, Mayer e Goleman, hanno proposto un nuovo co-strutto, quello di “intelligenza emotiva” che si contrappone all’ “intelli-genza psicometrica” nel tentativo di spiegare come le persone raggiungo-314
no il successo. In particolare, questi studiosi hanno messo in rilievo come il successo in molti ambiti della vita quotidiana coinvolga la capacità di gestire le proprie emozioni e controllare quelle degli altri. Tale costrutto quindi amplia lo studio dell’intelligenza, integrandolo con aspetti impor-tanti della competenza emotiva, considerata come una forma di “intelli-genza”. In questo ambito, il problema della plusdotazione è stato affronta-to in due modi diversi. Alcuni studiosi si sono chiesti se esista una plusdo-tazione emotiva distinta dalla plusdotazione intellettiva, e questo apre il problema della relazione tra le due e di quale sia più importante dal punto di vista del raggiungimento del
ad esempio Mayer et al. (2001) hanno evidenziato che gli adolescenti con una plusdotazione emotiva sono maggiormente in grado di affrontare situazioni sociali difficili. Altri stu-diosi hanno affrontato la questione se i bambini o le persone plusdotate (intellettualmente) abbiano anche un’intelligenza emotiva maggiore (ri-spetto a quelle normalmente dotate): i risultati mostrano che i bambini plusdotati tendono a mostrare un’intelligenza emotiva maggiore, anche se le differenze tra i due gruppi sono piccole e inoltre variano in base allo strumento impiegato (Schwean, Saklofske, Widdifield-Konkin, Parker e Kloosterman, 2006).Nel complesso, anche se l’intelligenza emotiva misurata come abilità può presentare una qualche relazione con l’intelligenza psicometrica, sicu-ramente i risultati finora ottenuti non bastano per confermare il fatto che l’intelligenza emotiva sia una forma di “intelligenza”. Il contributo di que-sto approccio al momento consiste solo nel focalizzare problemi impor-tanti e nell’enfatizzare che una buona intelligenza psicometrica non vuol dire un buon adattamento relazionale. Il principale punto debole coinvolge lo status scientifico del costrutto di “intelligenza emotiva”: manca una de-finizione univoca che metta d’accordo i principali studiosi ed inoltre gli strumenti di misura risultano inadeguati in quanto dotati di scarsa validità. I questionari non sembrano fornire informazioni adeguate e le prove di abilità non è chiaro se misurino l’intelligenza emotiva in senso stretto op-pure la “conoscenza delle emozioni e del loro ruolo”. Le teorie maggior-mente centrate sul costrutto di abilità affrontano la comprensione delle emozioni, laddove i mixed models mettono insieme aspetti motivazionali e di personalità, ma in ogni caso non è chiaro per quale ragione si debbano mettere insieme i concetti di “intelligenza” ed “emozioni” nel costrutto unico di “intelligenza emotiva”, piuttosto che indagare la relazione tra i due concetti. Appare, inoltre, certamente non fortunata la scelta di deno-minare questo costrutto in modo nuovo (“intelligenza emotiva” per l’ap-punto), lasciando intendere che si tratti di un costrutto innovativo, laddove 315
lo studio delle emozioni risale addirittura ai primordi della psicologia. Inoltre, l’uso del termine intelligenza, storicamente riservato all’area della cognizione umana, in combinazione con il termine “emozioni”, non ha certo contribuito a semplificare il dibattito scientifico.Il quadro appare sostanzialmente diverso se si prende in esame il co-strutto di “intelligenza psicometrica”. Infatti, le teorie psicometriche han-no alle loro spalle oltre un secolo di ricerche sulla valutazione dell’intelli-genza che hanno portato a una definizione sempre più accurata del co-strutto e a modalità di misurazione sempre più raffinate.Alcuni rilievi critici sono stati proposti a partire dagli Anni ’80 circa l’influenza dell’intelligenza psicometrica sul successo scolastico e lavora-tivo. In particolare, Sternberg (1985) che ha posto l’accento sull’esigenza di considerare non solo l’intelligenza misurata dai classici test standardiz-zati (intelligenza analitica), ma anche la capacità di rispondere alle novità (intelligenza creativa) e la capacità di affrontare situazioni quotidiane (in-telligenza pratica). Tali osservazioni in realtà non sminuiscono l’importan-za
dell’intelligenza
psicometrica,
al. (2011), e di una sua misurazione precisa, anche se evidenziano una serie di fattori che possono rendere meno diretta la sua influenza nel raggiungi-mento del successo.La ricerca successiva si è in gran parte orientata verso una teoria gerar-chica (Carroll, 1993), che ha portato a un certo grado di accordo tra i prin-cipali studiosi sui principali fattori che caratterizzano ciascuno strato evi-denziando la solidità del costrutto.Il costrutto di intelligenza psicometrica ha ricevuto anche altre critiche: arbitrarietà nella scelta dei compiti da sottoporre ad analisi fattoriale, con-cezione statica delle abilità e scarsa attenzione al ruolo dell’interazione con l’ambiente, influenza dei modelli culturali del ricercatori nella costru-zione degli strumenti di misura, uso di stimoli non ecologici, influenza della motivazione e dell’ansia nella prestazione ai test.Nonostante tali critiche, il costrutto di intelligenza psicometrica rimane sicuramente uno dei costrutti più solidi della certamente molto più solido del costrutto di intelligenza emotiva. Non a caso gran parte del-le ricerche in questo ambito nel definire operazionalmente i bambini plu-sdotati si basano principalmente sul criterio psicometrico (QI & 130).Nel complesso ci sembra che la ricerca futura sul tema della plusdota-zione possa trarre beneficio da un riferimento più stretto alla ricerca psico-metrica sul tema dell’intelligenza. In particolare, tre direzioni di ricerca possono risultare particolarmente fruttuose per il futuro.In primo luogo, nuovi approcci psicometrici alla selezione degli item, 316
come l’Item Response Theory ed il Computerized Adaptive Testing, pos-sono contribuire a sviluppare strumenti in grado di fornire una quadro più completo delle abilità possedute dalla persona sottoposta a valutazione. In secondo luogo, una maggiore attenzione all’evoluzione nel tempo dell’in-telligenza può aiutarci ad avere informazioni più precise sull’intelligenza nei plusdotati e sulla possibilità di una loro individuazione precoce. In ter-zo luogo, una riflessione andrebbe fatta sulla distinzione tra l’intelligenza e la sua espressione, sulla scorta della teoria contestuale di Sternberg e del concetto di “intelligenza pratica”. Chiaramente una scelta più “sofisticata” degli strumenti di misura dell’intelligenza può darci un’idea più precisa dell’intelligenza “posseduta” da una persona, ma il fatto che tale intelli-genza dia anche luogo a un corrispondente grado di successo in ambito scolastico e lavorativo dipende da tante variabili, alcune di tipo sociale. Nuovi test psicometrici, modellati sul Fluid Intelligence Test (Romanelli e Saggino, in preparazione), che misurano non solo il fattore di secondo or-dine “intelligenza fluida” ma anche quattro fattori di primo ordine (Indu-zione, Ragionamento quantitativo, Relazioni spaziali e Visualizzazione), possono sicuramente essere più utili, essendo a più ampio spettro, rispetto a test quali ad esempio le Matrici Progressive di Raven.Alcune cautele metodologiche inoltre vanno considerate quando si fa ricerca in questo ambito. In primo luogo, bisognerebbe distinguere i ra-gazzi “moderatamente plusdotati” da quelli “estremamente plusdotati”, in quanto potrebbero esserci differenze nei problemi che incontrano nel fare amicizia e nell’interagire con i coetanei “normalmente dotati”. Un grado moderato di plusdotazione potrebbe favorire l’assunzione di un ruolo di leader, mentre un grado estremo di plusdotazione potrebbe rendere diffici-le l’interazione con i compagni e favorire invece quella con gli adulti e i ragazzi più grandi.In secondo luogo, sarebbe importante considerare se alla plusdotazione intellettiva si accompagna anche una competenza emotivo-sociale debole, in questo senso si potrebbe ipotizzare che non sia la plusdotazione in sé ma la discrepanza tra plusdotazione e scarsa competenza emotiva e sociale a determinare problemi di adattamento e di relazione con gli altri: isola-mento sociale, rifiuto dei coetanei, solitudine.In realtà, la nostra società dovrebbe porsi maggiormente il problema della gestione dei plusdotati (che in base al criterio QI & 130 dovrebbero rappresentare il 2.5% della popolazione). La nostra società tende forse troppo verso l’appiattimento, in quanto da un lato si preoccupa giustamen-te dei bambini che rimangono indietro e dall’altra di fronte ai plusdotati non li incoraggia a coltivare i loro interessi per timore che questo generi 317
un isolamento
per tale motivo il bambino plusdotato può creare problemi in classe per il semplice fatto che, essendo più rapido nell’ap-prendimento, mentre l’insegnante è impegnato a spiegare un argomento, che lui ha già compreso, al resto della classe non avendo altro da fare può cominciare ad esempio ad infastidire i compagni. Abbiamo, infatti, il dub-bio che spesso i bambini inviati allo psicologo in quanto problematici (perché danno fastidio in classe) in realtà siano semplicemente bambini plusdotati.Due opzioni o modelli pedagogici si potrebbero adottare in ambito sco-lastico per rendere più stimolante cognitivamente l’esperienza dei plusdo-tati, che chiaramente si annoiano interagendo con i “normalmente dotati”. Da un lato si potrebbero mettere insieme i bambini non in base all’età cro-nologica, bensì in base alle competenze, agli interessi ed ai valori. Tale opzione favorirebbe esperienze più stimolanti per loro,

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